IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause civili riunite  n.
 8413/73  r.g.,  n. 12124/79 e n. 13976/86 r.g. tra Como Bianca e Como
 Clelia, rappresentate e difese dall'avv. Giovanni Leone  (con  studio
 in Napoli, corso Umberto n. 22) e il Consorzio per l'area di sviluppo
 industriale  (A.S.I.) di Napoli, in persona del legale rappresentante
 pro-tempore,rappresentato e difeso  dall'avv.  Giovanni  Allodi  (con
 studio in Napoli, via Cesaro Console, 3).
                              M o t i v i
   Con  sentenza  non  definitiva  del 27 agosto 1991, il tribunale ha
 condannato il Consorzio A.S.I. al risarcimento dei danni,  in  favore
 delle  attrici,  per  l'illegittima  occupazione  di un suolo di loro
 proprieta' eseguita per la realizzazione di  un'opera  dichiarata  di
 pubblica  utilita',  previa disapplicazione del decreto di esproprio,
 emesso senza che fosse stato in  precedenza  fissato  il  termine  di
 compimento della espropriazione.
   Poiche'  la  deliberazione di una sentenza non definitiva, anche se
 non passata in giudicato, vincola il  giudice  che  l'ha  pronunciata
 nella  prosecuzione  del  giudizio  davanti  a  se',  in  ordine alle
 questioni definite e a quelle da queste dipendenti che debbono essere
 esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronuncia (cfr.  Cass.
 25  febbraio 1986 n. 1196, Cass. 30 gennaio 1985 n. 546), resta nella
 presente sede preclusa ogni indagine sulla  fondatezza  di  eccezioni
 che,  se accolte, condurrebbero all'affermazione dell'inesistenza del
 diritto delle attrici al risarcimento  dei  danni,  su  cui  ha  gia'
 statuito la sentenza non definitiva sopra menzionata.
   Avendo  inoltre  l'occupante  eseguito l'opera di pubblica utilita'
 sul suolo appartenente all'attrice, per il carattere definitivo e con
 effetto di ablazione di fatto dell'occupazione, alle attrici,  se  e'
 preclusa  la  restituzione  del  fondo  (per giurisprudenza pacifica:
 cfr. per tutte Cass. sez. un. 10 giugno 1988  n.  3940),  compete  il
 risarcimento per l'illecita sottrazione della proprieta' del bene.
   In  materia  e' di recente intervenuta la legge 28 dicembre 1995 n.
 449 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"), in vigore
 dal 1 gennaio 1996, che,  all'art.  1  comma  sessantacinquesimo,  ha
 esteso   l'applicazione   del   criterio   legale  di  determinazione
 dell'indennita' espropriativa di cui all'art. 5-bis  della  legge  n.
 359 del 1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza
 di   illegittime   occupazioni   acquisitive.  Per  effetto  di  tale
 innovazione, le disposizioni dettate dall'art. 5-bis si applicano  in
 tutti  i  casi  in  cui  non  siano  stati  ancora determinati in via
 definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del  risarcimento
 del danno alla data di conversione del d.-l.  n. 333 del 1992.
   Non   dovendo,   nel  caso  in  esame,  (relativo  ad  un  fondo  a
 destinazione industriale e percio'  edificatoria)  applicarsi  alcuna
 disciplina   speciale   derogatoria,   quanto   alla   determinazione
 dell'indennita', alla regola generale posta dall'art. 5-bis  (si'  da
 doversi  escludere  la  concreta  operativita' di tale norma anche in
 ipotesi di risarcimento per l'occupazione  appropriativa),  non  v'e'
 dubbio  che  la  decisione  della causa, ossia la quantificazione del
 risarcimento spettante alle attrici si fondi sull'applicazione  della
 norma  in  esame,  cosi' come modificata dalla legge n. 449 del 1995,
 che fa salve solo le determinazioni divenute  inoppugnabili  in  sede
 amministrativa o per effetto di giudicato.
   Certamente,  infatti,  il  legislatore  del 1995, nell'estendere al
 risarcimento del danno  il  criterio  liquidativo  dettato  dall'art.
 5-bis,  non  ha  voluto riferirsi solo alla cosidetta responsabilita'
 della pubblica amministrazione per fatti leciti, di cui all'art.   46
 della  legge  25  giugno  1865  n.  2359,  ovvero  all'espropriazione
 parziale  (art.  40  della  stessa   legge   del   1865)   o   ancora
 all'indennita' di occupazione temporanea di urgenza.
   La  "responsabilita'  della p.a. per fatto lecito", sussistente nei
 confronti dei proprietari di fondi che dall'esecuzione dell'opera  di
 pubblica utilita' vengono gravati di servitu' o vengano a soffrire un
 danno  permanente  derivante  dalla perdita o dalla diminuzione di un
 diritto, presuppone la  liceita'  del  comportamento  della  pubblica
 amministrazione  (Cfr.  Cass.  10 giugno 1977 n. 2420), e da' vita ad
 un'obbligazione che l'art. 46 citato qualifica esplicitamente come di
 natura indennitaria. Di risarcimento puo'  invece  parlarsi  solo  in
 presenza  di  un  danno  provocato da un fatto illecito, ex art. 2043
 c.c.
   Non puo' percio' ipotizzarsi che il legislatore  abbia  parlato  di
 risarcimento  del  danno  per  disciplinare  una obbligazione che, in
 altra disposizione, qualifica espressamente come "indennita'".
   Lo stesso vale per l'espropriazione parziale  e  per  l'occupazione
 temporanea  e  di  urgenza,  da  cui  non  deriva un debito di natura
 risarcitoria.
   Non puo' invece dirsi  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata in subordine dalle attrici, per
 essere   l'art.   5-bis   (come   modificato   dall'art.   1,   comma
 sessantacinquesimo della legge n. 549 del 1995)  in  contrasto  cogli
 artt. 3 e 42, comma secondo, della Costituzione.
   Si  assume,  da parte delle attrici, la violazione dell'art. 3, per
 l'irragionevole equiparazione di due situazioni del tutto  differenti
 (l'indennita' dovuta per un'espropriazione disposta secundum ius e il
 risarcimento  per  fatto  ingiusto),  per l'ingiustificato privilegio
 accordato dalla pubblica amministrazione che,  diversamente  da  ogni
 altro  soggetto giuridico, sarebbe esentata dall'obbligo di risarcire
 integralmente   il   danno   ingiusto   provocato   ai   terzi,   per
 l'ingiustificata  equiparazione  delle  pubbliche amministrazioni che
 agiscono secondo diritto e  quelle  che  invece  realizzano  condotte
 illecite,   arrecando   un  beneficio  a  quegli  amministratori  che
 dovrebbero essere  perseguiti  dalla  Corte  dei  conti,  nonche'  la
 violazione  dell'art.  42,  comma  secondo  per  la  violazione della
 riserva di legge in tema di espropriazione per pubblica utilita'.
   Ritiene sul punto il tribunale che, in relazione  al  principio  di
 eguaglianza  sancito dall'art. 3 della Costituzione, si pongono dubbi
 non manifestamente infondati sotto i seguenti profili:
     1)  innanzitutto,  vengono  ingiustificatamente  discriminati   i
 soggetti  che,  proprietari  di  immobili,  subiscono per la condotta
 illecita della p.a., la privazione del loro diritto, rispetto ad ogni
 altro danneggiato da fatti illeciti (anche ad  opera  della  poiche',
 solo  per  i  primi  e'  introdotta  una deroga al principio generale
 (sancito in tema di responsabilita' aquiliana  mediante  il  richiamo
 dell'art.   2056 c.c. all'art. 1223 c.c.) per il quale il danneggiato
 ha diritto all'integrale ricostituzione del proprio patrimonio.
   La  disparita'  di  trattamento,  peraltro,  risulta   ancor   piu'
 stridente   rispetto   alle   espropriazioni  regolate,  quanto  alla
 determinazione dell'indennita', da norme speciali, in deroga all'art.
 5-bis (ad esempio, quelle previste dalla legge n. 219 del 1981;  cfr.
 Cass; Sez. Un. 6 novembre 1993 n. 10998 e 10 novembre 1993 n. 11078),
 per  le  quali  la  norma  in  esame, se e' inapplicabile nella stima
 dell'indennita', lo e' anche per  la  quantificazione  dell'eventuale
 risarcimento,  che,  resta  dovuto  al  danneggiato in misura pari al
 valore venale del bene  espropriato  contro  legge  (ossia  piu'  che
 doppia  rispetto al risarcimento conseguibile dal danneggiato ex art.
 5-bis). Inoltre, i danneggiati dall'espropriazione  di  fatto  godono
 anche  di  un  regime  deteriore,  rispetto ai proprietari legalmente
 espropriati in ordine alla prescrizione che, per i primi,  matura  in
 termine piu' breve (ex art. 2946 c.c.);
     2)   appare   ingiustificata   l'equiparazione  sul  piano  delle
 conseguenze patrimoniali delle espropriazioni di  fatto  eseguite  in
 violazione  di  legge, a quelle condotte nel rispetto delle regole ad
 esse preordinate, sia perche' l'esigenza di contenimento della  spesa
 pubblica  (cui potrebbe ovviarsi facendo valere la responsabilita' di
 coloro   che,   esponendo   l'amministrazione   ad    un'obbligazione
 risarcitoria  verso  i  terzi, abbiano in tal modo causato danno alla
 stessa amministrazione:  v. ad esempio l'art. 82 del r.d. 18 novembre
 1923 n. 2240) non potrebbe, in un ordinamento fondato  sul  principio
 di legalita', attuarsi mediante avallo di attivita' illecite, facendo
 quindi  venir meno ogni possibile remora al rispetto del procedimento
 ablatorio previsto dalla legge.
   In  rapporto  al  dettato  dell'art.  42,  comma  terzo, Cost., con
 l'equiparazione   sul   piano   delle    conseguenze    patrimoniali,
 dell'espropriazione   di  fatto,  realizzata  mediante  una  condotta
 illecita, alle espropriazioni legalmente  pronunciate,  la  norma  in
 esame  sembra svincolare la materia delle espropriazioni per pubblica
 utilita', dal principio  della  riserva  di  legge  che  deve  invece
 informarla,  occorrendo infatti che la legge descriva con sufficiente
 specificazione l'entita' e i limiti del potere di espropriazione  (e,
 quindi,  tra  l'altro,  anche  le  modalita'  con cui esso puo essere
 esercitato).
   Peraltro, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 442 del
 16 dicembre 1993 (ricordata dalle attrici), ha  affermato  l'assoluta
 incomparabilita'  tra  l'espropriazione attuata secundumlegem, per la
 quale vengono in rilievo le opzioni (discrezionali)  del  legislatore
 in  ordine al criterio di calcolo dell'indennita', e l'espropriazione
 di fatto, mediante la  realizzazione  dell'opera  pubblica  sull'area
 occupata,   ma   non   legalmente   espropriata,   che  impedisce  la
 retrocessione e comporta l'effetto traslativo  della  proprieta'  del
 suolo  per  accessione  all'opera  stessa,  in  cui  vale  il diverso
 principio della piena ristorabilita' del danno.
   Appare invece non pertinente il richiamo delle attrici  agli  artt.
 24,  103  e 113 della Costituzione, poiche' la non convenienza per il
 privato, sul piano pratico, di far valere l'eventuale  illegittimita'
 dell'espropriazione,  non  preclude  comunque  il ricorso alla tutela
 giurisdizionale, pur sempre  necessario  ove  si  contesti  l'entita'
 dell'indennizzo  del  risarcimento quantificato dall'amministrazione,
 ovvero si intenda  conseguire  la  condanna  di  questa,  ove  manchi
 l'adempimento spontaneo dell'obbligazione.